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Le più belle poesie di Natale in rima

Le poesie di Natale in rima sono spesso recitate dai più piccoli in famiglia, la sera del 24 dicembre o durante il pranzo del 25, a seconda delle usanze di ogni singola famiglia.

I bambini e le bambine si esercitano a lungo per imparare le rime per Natale e i loro sforzi vanno sempre premiati.

È molto più facile imparare a memoria delle poesie natalizie in rima visto che la rima permette di memorizzare in maniere più veloce.

5 belle poesie di Natale in rima

Tra le poesie di Natale in rima alcune sono adatte senza dubbio a essere recitate dai più piccoli, altre sono troppo lunghe e complicate: magari possono essere lette insieme (evitando di cantilenarle, però!).

Le ciaramelle, di Giovanni Pascoli

La prima poesia di Natale in rima è di Giovanni Pascoli (1855-1912) ed è tratta dai Canti di Castelvecchio (1903): Le ciaramelle.

Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.

Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.

Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave:
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.

Le pie lucerne brillano intorno
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima del giorno,
un piccoletto grande presepe.

Nel cielo azzurro tutte le stelle;
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.

O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;

che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.

Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole:

sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!

Due poesie in rima di Guido Gozzano

Vi proponiamo poi due poesie di Natale in rima scritte da Guido Gozzano (1883-1916).

Natale

La prima ha per titolo Natale ed è breve e adatta ai bambini:

La pecorina di gesso,
sulla collina in cartone,
chiede umilmente permesso
ai Magi in adorazione.

Splende come acquamarina
il lago, freddo e un po’ tetro,
chiuso fra la borraccina,
verde illusione di vetro.

Lungi nel tempo, e vicino
nel sogno (pianto e mistero)
c’è accanto a Gesù Bambino,
un bue giallo, un ciuco nero.

La notte santa

La seconda è La notte santa. È una poesia lunga, è vero, ma può essere drammatizzata con la voce di Giuseppe, Maria, degli osti e del coro. Potrebbe essere un’ottima idea per coinvolgere tutta la famiglia nella tradizionale recita delle poesie di Natale.

«Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei!
Presso quell’osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono, e troppo stanca sei».

Il campanile scocca
lentamente le sei.

«Avete un po’ di posto, o voi del CavaI Grigio?
Un po’ di posto avete per me e per Giuseppe?»
«Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;
son troppi i forestier, le stanze ho piene zeppe».

Il campanile scocca
lentamente le sette.

«Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge, ed io sono così rotto!»
«Tutto l’albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto!»

Il campanile scocca
lentamente le otto.

«O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avreste per dormire? Non ci mandate altrove!»
«S’attende la cometa. Tutto l’albergo ho pieno
d’astronomi e di dotti, qui giunti d’ogni dove».

Il campanile scocca
lentamente le nove.

«Ostessa dei Tre Merli, pietà d’una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci!»
«Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.
San negromanti, magi persiani, egizi, greci…»

Il campanile scocca
lentamente le dieci.

«Oste di Cesarea!…» «Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame;
non amo la miscela dell’alta e bassa gente»

Il campanile scocca
le undici lentamente.

La neve! «Ecco una stalla!» «Avrà posto per due?»
«Che freddo!» «Siamo a sosta». «Ma quanta neve, quanta!
Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue…»
Maria già trascolora, divinamente affranta…

Il campanile scocca
la mezzanotte santa.

È nato!
Alleluja! Alleluja!
È nato il Sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d’un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaje
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie!
O genti vicine e lontane!
Non sete, non molli tappeti,
ma come nei libri hanno detto
da quattro mill’anni i Profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill’anni s’attese
quest’ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
Risplende d’un astro divino
la notte che già fu sì buja
risplende d’un astro divino.
È nato il Sovrano Bambino!
È nato!
Alleluja!
Alleluja!

Il Rinato, di Gabriele D’Annunzio

Gabriele D’Annunzio (1863-1938) ha composto la poesia Il Rinato.

Non videro la stella d’oriente
i magi, non andava innanzi a loro
ella per scorta su le nevi ardente;

non improvviso udiron elli il coro
dei Messaggeri in Betleem di Giuda
prostrandosi; non mirra incenso ed oro

offersero alla creatura ignuda
sopra la paglia della mangiatoia
calda di fiati nella notte cruda;

né, curvi in calca sotto la tettoia
radiosa, i pastori di Giudea
intonarono cantico di gioia.

S’ebbe natività nella trincea
cava il Figliuol dell’uomo; e solo quivi,
messo in fasce da piaghe, si giacea.

Fasciato di tristezza era tra i vivi
e i morti, solo; e il ferro e il sangue e il loto
erano innanzi a lui doni votivi.

E non piangea, ma intento era ed immoto.
Laude gli era il rimbombo senza fine
per il silenzio delle nevi ignoto;

cantico gli era il croscio delle mine
occulto; gli era aròmato il fetore
ventato su dalle carneficine.

E sanguinava in fasce; ed il rossore
si dilatava come immenso raggio,
sicché tutti i ghiacciai parvero aurore,

tutte le nevi parvero il messaggio
dei dì prossimi, l’ombra fu promessa
di luce, il buio fu di luce ostaggio.

Ed intendemmo la parola stessa
del suo profeta: «Un grido è stato udito
in Rama, un mugolìo di leonessa,

un lamento, un rammarico infinito:
Rachele piange i suoi figliuoli, e guata
l’ultimo suo non anche seppellito.

Non è voluta esser racconsolata
de’ suoi figliuoli che non sono più.
Una cosa novella, ecco, è creata.

Il Signore ha creata una virtù
nella carne. Quel ch’apre la matrice
Ei farà santo. Ei semina quaggiù

una semenza d’uomini». Ora dice
una voce: «Io farò rigermogliare
in carne i tuoi germogli, o genitrice.

Ritieni gli occhi tuoi di lacrimare,
ritieni la tua gola dal lamento;
perché come la rena del tuo mare

t’accrescerò, come la rena al vento
ti spanderò. Eccoti i tuoi figliuoli
moltiplicati dal combattimento.

Senza sudarii tu, senza lenzuoli,
li seppellisci ed io li dissotterro.
Rifioriranno ai tuoi novelli soli,

alla nova stagione ch’io disserro».
E quivi il Figliuol d’uomo era, il Rinato;
e quivi erano il loto e il sangue e il ferro.

E con fasce da piaghe era fasciato;
e sanguinava senza croce, come
per il colpo di lancia nel costato.

Ma “Colui ch’è il più forte” era il suo nome.

Le candeline accese, di Roberto Piumini

Concludiamo la nostra selezione di poesie di Natale in rima con Le candeline accese di Roberto Piumini (1947).

Le candeline accese
sui rami dell’abete
sembrano tutte liete
di vegliar da vicino
dolce sonno di Gesù Bambino.

I gingilli d’argento
le belle arance d’oro,
chiedono fra di loro
scampanellando piano
Ci toccherà la sua piccola mano?

Gli angiolini di cera
dalle manine in croce
sussurrano con voce
quasi di paradiso:
Se avessimo soltanto un suo sorriso!

E la stella cometa
che vide tutto il mondo
dice con un profondo
sospiro di dolcezza:
Non vidi mai quaggiù tanta bellezza!

Foto | Pixabay

Roberto Russo

Roberto Russo è nato a Roma e vive a Perugia. Dottore in letteratura cristiana antica greca e latina, è appassionato del profeta Elia. Segue due motti: «Nulla che sia umano mi è estraneo» (Terenzio) e «Ogni volta che sono stato tra gli uomini sono tornato meno uomo» (Tommaso da Kempis). In questa tensione si dilania la sua vita. Tra le altre cose, collabora con alcune testate online e tanto tempo fa ha pubblicato un racconto con Mondadori.

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