La bambina selvaggia, di Rumer Godden – finalista Premio Strega ragazzi 2018

I bambini sono tremendi, è un dato di fatto e lo sostengo da tempo; quando non visti, quando fanno branco, quando possono e riescono a dar voce ai loro istinti, mostrano il peggio dell’umanità. Dell’umanità, certo, perché i bambini sono lo specchio di noi adulti, quindi la loro cattiveria non nasce dal nulla. Rumer Godden deve aver osservato i bambini in diverse occasioni, perché, anche se il romanzo La bambina selvaggia, traduzione di Marta Barone, Bompiani, finalista Premio Strega Ragazzi 2018, ha un finale molto felice in stile famiglia Mulino bianco e vissero tutti felici e contenti, i bambini di questo romanzo, inizialmente, non fanno certo una bella figura. E ovviamente, nemmeno gli adulti.
La prima edizione del romanzo è del 1972. I sapori della vicenda hanno uno stile in forma «casa nella prateria», e sottolineano la cattiveria dell’essere umano nei confronti del diverso. Bullismo e discriminazione accompagnano la vicenda assieme a paura e risentimento. Sette anni sono davvero pochi per capire e perdonare la malvagità.
La bambina selvaggia

Kizzy è una bambina nomade, diddakoy, vive con la nonna nel giardino di un personaggio davvero insolito, l’Ammiraglio Cunningham Twiss, nel giardino nel senso che vivono all’interno di un freddo carrozzone parcheggiato nel campo di questo signore, e la nonna in realtà è la trisnonna, i genitori di Kizzy sono morti entrambi.
Un giorno la comunità si accorge dell’esistenza di questa piccola e magra bambina e inizia la procedura per mandarla a scuola.
I coetanei di Kizzy non brillano certo per accoglienza, atti di bullismo sono all’ordine del giorno: la bambina odia andare a scuola, ama solo il suo carro e il vecchio cavallo Joe. Le dicono che puzza, ma Kizzy non capisce perché, dato che la nonna le lava i vestiti ogni giorno. Le dicono che è una stracciona, una zingara… ogni giorno. Kizzy ama la libertà, la natura, l’aria aperta; la scuola, il banco, le risultano insopportabili. Non chiede aiuto, sa tirare pugni, graffi e sberle per difendersi. Non ha bisogno di aiuto.
I cambiamenti della vita
Un giorno la nonna muore: era vecchia. La tradizione nomade prevede che il carro del defunto venga bruciato, e così fanno i parenti. I parenti, non hanno spazio per Kizzy, vogliono prendersi le tazze da te della vecchia signora, spedire il cavallo al mattatoio, e dimenticarsi di Kizzy. E così fanno.
Da questo momento la storia cambia ritmo, la paura della bambina è evidente, ma per fortuna al mondo esistono anche adulti meno intolleranti, comprensivi e capaci di adattarsi alle esigenze della bambina. Anche se con molte difficoltà la vita di Kizzy riprende: la paura è difficile da domare, la scuola un luogo orribile dove andare, i vestiti nuovi sono oggetti incomprensibili, ma un po’ alla volta anche Kizzy trova il suon posto nel mondo.
“Penso che dobbiamo ricordarci – Miss Brooke arrossì, come se non le piacesse dettar legge – provare a ricordarci… che abbiamo a che fare con criteri diversi, e diverso non significa sbagliato”.
Una riflessione
Una storia dal sapore classico che ci porta a riflettere sulla diversità, scritta benissimo, ma che contemporaneamente, e questa è la mia personalissima critica da lettrice del 2017, presenta quel finale adatto a questa società, come se la diversità della bambina non fosse un dono, ma un qualcosa che solamente una famiglia normale può domare. Alla fine arriva il matrimonio, l’unione classica, accettabile. Kizzy si inserisce, trova la sua famiglia, ha un nuovo cavallo e un nuovo carrozzone/giocattolo, lascia la paura. Kizzy rimane per metà zingara. È l’altra metà che mi sfugge…
Review Overview
Leggibilità
Storia
Prezzo
Un classico contro la discriminazione
Un classico capace di farci riflettere, bullismo e intolleranza possono colpire tutte le comunità